Messaggio di Padre Roberto del 7 maggio 2020

Carissimi parrocchiani,

                        si parla molto di fase 2. Una fase che anche per la Chiesa significherà la possibilità di ritornare, sotto determinate condizioni, a celebrare la Messa e i Sacramenti e forse anche a ritrovarsi per qualche incontro. Ma sappiamo che anche in questa nuova fase la nostra comunità parrocchiale non avrà il volto di sempre, a cominciare dalla liturgia, dall’annuncio attraverso la catechesi e dalla testimonianza della comunione e della carità generosa, pilastri di ogni comunità cristiana, descritti negli Atti degli Apostoli che ci vengono presentati in questo tempo pasquale.

In queste settimane la forzata e giustificata mancanza all’appuntamento di preghiera comunitaria, soprattutto nel giorno del Signore, dovrebbe aver fatto crescere il desiderio del tempio vivo che è la Chiesa, la famiglia dei battezzati, e di luoghi reali che favoriscono e arricchiscono le relazioni. Abbiamo bisogno di sentirci fratelli, di vivere la prossimità. Ho sentito che perfino i ragazzi e i giovani, in questi giorni di isolamento, rimpiangevano la scuola! Le vacanze, le ferie, i tempi di svago e di relax sono belli e necessari, ma solo quando interrompono i tempi di studio, lavoro impegni. Possiamo fare a meno di tante cose superflue e perfino utili, ma non possiamo fare a meno gli uni degli altri.

La quarantena fisica, psicologica e sociale ci ha fatto toccare con mano che gli strumenti di comunicazione come WhatsApp, Internet, social network, non possono sostituire le relazioni affettive e di lavoro. Abbiamo però riscoperto altri strumenti di “salvezza”: la ricchezza del tessuto familiare, il bisogno della preghiera, nella consapevolezza della nostra fragilità e precarietà, l’opportunità di spazi culturali privati, gesti di solidarietà nei confronti degli altri, in particolare per i più bisognosi, dedicando loro tempi e interesse, anche solo con il telefono, coltivando progetti per il futuro. Infine, dopo la fede e la carità, questa dolorosa esperienza riaccende la speranza: ci auguriamo che continuino a calare il numero dei contagiati e dei morti e cessi l’epidemia, perché ritorni la serenità nei cuori, nelle famiglie, nella società con la ripresa delle ordinarie occupazioni e relazioni.

Nasce anche spontanea una domanda: di cosa hanno bisogno la Chiesa e la nostra comunità parrocchiale? Cosa li può aiutare in questo passaggio di vita?

Hanno bisogno forse di mani che mostrino che il potere della speranza è la prima preghiera globale del 21° secolo, di trovare strumenti narrativi per poter raccontare a tutti noi ciò che sta avvenendo e di leggere dentro a questi vissuti la presenza di Dio; di essere accompagnati a vivere l’opportunità che questi giorni offrono per capire che cosa significa essere  realmente una comunità. Siamo tutti nelle mani gli uni degli altri.

Dall’ascolto attento della realtà, delle voci narranti degli adulti e delle famiglie, dei laici in genere e dei preti si può capire la precarietà in cui viviamo disagi, bisogni, attese, punti di vista per ridisegnare un nuovo volto di Chiesa e di scelte pastorali.

Non è una parentesi in attesa di ricominciare a fare quello che facevamo prima, ma un appello dello Spirito a discernere l’essenziale da salvaguardare e a cosa dobbiamo rinunciare per salvaguardare il tutto. Nulla potrà essere come prima, neppure le nostre proposte pastorali.

E’ sorprendente vedere come ci arrivano parole di senso da ambienti e persone lontane dalla fede e dalla Chiesa. Dal mondo della moda Giorgio Armani scrive che questa crisi è una meravigliosa opportunità per rallentare e riallineare tutto, per disegnare un orizzonte più vero, per aggiustare quello che non va, per riguadagnare una dimensione più umana. Dal santuario stellato dei ristoranti Massimiliano Alajmo afferma che viviamo una grande opportunità di rallentare per consapevolizzare il valore delle nostre scelte, per comprendere che l’economia è sana e virtuosa solo se si rispetta il prossimo, per assaporare il presente e prepararci al futuro. Non ha importanza cosa faremo, ci dice, ma come lo faremo. Certo si tratta di parole laiche, ma sono parole che non ci possono non interpellare. Da questa crisi, se accolta e non bypassata, potrebbe uscire una Chiesa più vera, perché ascolta quello che vivono le persone e quello che Dio ci chiede.

Scambiamoci l’augurio di essere collaboratori dello Spirito Santo che abbiamo ricevuto nel Battesimo.

Fraternamente

                                                Padre Roberto