I 10 ANNI DI SACERDOZIO DI DON MARCO CAGOL |
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Dieci anni: 1997-2007. Dieci anni di vita come prete. Non sono tanti, a
dire il vero. E tuttavia sono un numero tondo che può fornire l’occasione
per dire qualcosa di quello che è accaduto. E l’occasione per raccontarlo
alla mia cara parrocchia di S. Camillo. In questi anni ho fatto cose
diversissime tra di loro, quelle che via via il vescovo Antonio mi chiedeva.
I primi tre anni ho fatto il cappellano nella parrocchia di Montà. Sono
stati gli anni dell’inizio, in cui un misto di ingenuità e di entusiasmo
hanno fatto sì che mi gettassi anima e corpo in quella realtà, molto diversa
dalla nostra di S. Camillo, ma ricca di persone veramente dalla fede
semplice e solida. Tre anni importanti, in cui ho gustato la bellezza della
vita del prete, che sta in mezzo alle persone e condivide con loro gioie e
dolori.Poi, improvvisamente, interrompendo forse nel momento più bello
l’esperienza a Montà, mi è stato chiesto di tornare in Seminario a fare
l’educatore dei seminaristi che, poco più giovani di me, si preparavano a
diventare preti. Per sei anni ho svolto questo servizio, molto difficile e
impegnativo, ma che mi ha permesso di riflettere tanto anche sulla mia
stessa vocazione, sul significato dell’essere preti oggi, e mi ha dato la
possibilità di condividere da vicino le gioie, le difficoltà, le
inquietudini e i sogni di chi entrava in seminario, come me pochi anni
prima. In quegli anni ho gustato la passione dell’educare, sperimentando
quanto sia difficile ma anche quanto sia essenziale, nella Chiesa, nelle
comunità, nelle famiglie, l’impegno educativo.
Poi, l’anno scorso, spiazzandomi un’altra volta
(perché pensavo,
concluso il servizio in Seminario, di tornare in una parrocchia a tempo
pieno), il vescovo mi ha affidato un incarico un po’ singolare: delegato per
la Pastorale Sociale. Sono sostanzialmente incaricato di tenere viva la
presenza della Chiesa nei mondi del lavoro, dell’economia, della politica,
della società in genere, e di sensibilizzare le comunità cristiane su queste
tematiche di carattere sociale, quali il lavoro, la pace, la giustizia, la
politica, la salvaguardia del creato. È un ministero che ancora non ho ben
imparato, ma che è molto stimolante e arricchente.
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In questi anni, ho anche prestato il servizio festivo in tre comunità, S.
Giuseppe, Spirito Santo (tornando così vicino alla nostra S. Camillo) e ora
a Curtarolo.
Questo il racconto della mia vita sacerdotale, un po’ originale rispetto
al percorso che mi ero immaginato dieci anni fa, quando pensavo di spendermi
in qualche parrocchia. Penso ancora che la parrocchia sia il luogo più
naturale dove fare il prete, perché nella parrocchia vive la Chiesa che
celebra la vita, che si forma alla scuola del Vangelo, che esercita la
carità. Però la Chiesa ha anche altri volti, e ciò di cui sono veramente
contento è di aver avuto voglia di essere a servizio di ciò che mi veniva chiesto. In fondo l’esser preti, e consacrati, ha senso
proprio se c’è la disponibilità totale a servire il Vangelo ovunque ci sia
bisogno.
Quel 15 giugno 1997, giorno in cui celebravo la prima messa nella nostra
parrocchia di S. Camillo sembra lontano nel tempo. Ma è un ricordo vivo: è
il ricordo di una comunità che mi ha generato alla fede, che mi ha insegnato
lo stile del servizio, che mi ha accompagnato con discrezione nel mio
cammino, anche in questi anni in cui non ho potuto essere quasi mai
presente. Anche se sono altrove, seguo la vita della parrocchia, attraverso
ciò che mi raccontano la mia famiglia, p. Roberto (che sempre ringrazio per
il suo affetto e la sua testimonianza di accoglienza), e qualcuno di voi.
Avere “radice” in una comunità (oltre ai tanti legami con tutte le altre
alle quali si è inviati), è essenziale per vivere la fede e anche la
vocazione, perché il Signore Gesù ci ha voluti insieme, come Chiesa, e non
battitori liberi, senza radici.
Don Marco Cagol
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Don
Marco nel salone, per il battesimo di Alice, in una recente occasione
in cui ha partecipato alla vita della nostra comunità, in cui “ha le
radici” |
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