L'angolo dei giovani

UN’ANIMATRICE A WAMBA (KENYA)
 

Anna partecipa attivamente alla vita della nostra Comunità da circa un anno e mezzo. Ha 26 anni, viene da Chirignago (vicino a Mestre) e trascorre gran parte della settimana qui a Padova per condurre il suo studio e il suo lavoro come medico. Si è offerta lei stessa, nell'estate del 2007, di fare da animatrice nei  nostri Gruppi Giovanissimi, perché intendeva continuare il servizio già portato avanti nella sua parrocchia di origine. Tuttora Anna è animatrice del Gruppo Giovanissimi '91-'92, assieme a Caterina e a Paola.

    


Alla fine dello scorso ottobre ho avuto l'occasione di trascorrere un breve periodo di tempo in una missione in Kenia.

Erano anni che desideravo recarmi a Wamba, in Kenya, nella missione al cui sostegno la mia Comunità collabora da tempo. Ciò che mi spingeva era la voglia di conoscere direttamente questa realtà di cui tanto avevo sentito parlare, vedere “sul campo” come si poteva essere d’aiuto, sia dal punto di vista medico che più in generale dal punto di vista umano. Finalmente, a fine ottobre ho avuto la tanto sospirata opportunità di partire, con la sorella di un  sacerdote e un medico di Mestre. Ero teoricamente ben preparata, avendo studiato ogni pagina del bilancio sociale e ascoltato con attenzione ogni singola parola dei racconti dei miei futuri compagni di viaggio. Tuttavia, quando sono arrivata a Wamba, ho scoperto che c’era un’enorme, sostanziale differenza tra quanto si poteva cogliere da resoconti e testimonianze e quanto era invece presente, vivo davanti ai miei occhi. La mia idea astratta di missione non poteva nemmeno lontanamente rispecchiare la realtà palpitante che mi trovavo di fronte.

È stato significativo già il mio primo contatto con l’ospedale, il giorno dell’arrivo: attraversiamo i reparti, salutiamo i pazienti … e lì, fuori dalla Maternità, una giovanissima ragazza mi guarda, mi dice “Karibu!” (benvenuta) e mi regala il suo anello di perline, perché, un po’ in swahili e un po’ a gesti, mi fa capire che è molto più bello di quello che porto io … E meno male che quando si pensa alla missione si crede di essere quelli che danno e non quelli che ricevono!

 

 

 

 

E nell’ospedale ho incontrato tante persone, semplici eppure speciali, che prestano con costanza e umiltà il loro servizio: il dottor Prandoni, che ha fondato l’ospedale trent’anni fa e ancora continua il suo lavoro di chirurgo; i medici volontari che giungono dall’Italia a turno nel corso dell’anno; la dottoressa Julia, che lavora infaticabile con tutti i pazienti dal mattino alla sera (e alla notte!): dopo un’intensa giornata tra terapie, medicazioni, parti cesarei, ingessature, alle 22 è ancora il momento di un’ultima occhiata ai reparti, a quella paziente appena arrivata che desta qualche preoccupazione … E poi ho conosciuto le Suore della Consolata, che con la loro non più giovane età lavorano infaticabili, animate da uno sconfinato amore per il prossimo e da una forza che può venire solo dalla fede. Come dimenticare Suor Gabrielita, che guida il programma di monitoraggio e aiuto alle donne gravide e ai neonati, portando con una jeep medicinali e vaccinazioni anche a 100 km di distanza? È quasi incredibile, ma dalle loro capanne di sterpi le ragazze samburu arrivano con precisione ogni mese, e tendono con fiducia i loro piccoli alle infermiere perché siano pesati e visitati. E Suor Giovanna Pia, che dall’alto dei suoi 37 anni di servizio nell’ospedale accoglie tutti i giorni i pazienti che arrivano agli ambulatori: alcuni li ricovera, altri li invia al medico, la maggior parte li conosce e dà loro le medicine o il denaro necessario per comprare un po’ di riso o un telo di nylon contro la pioggia. Mescolando italiano, inglese, swahili e samburu, li ascolta, li conforta, li rimprovera se hanno aspettato troppo prima di rivolgersi all’ospedale o se hanno speso i soldi per ubriacarsi. E poi sospirando mi confida: “È che non riesco a vederli star male …”.

A Wamba, però, non c’è solo l’ospedale, ma anche le scuole, dall’asilo alla scuola superiore, alla scuola di formazione per le infermiere. Già, l’asilo con i suoi bambini …  Sono quasi 200 i bimbi che ogni giorno lasciano le loro capanne e arrivano nella missione, per imparare le prime parole in swahili e soprattutto per ricevere un po’ di latte e l’unico pasto della giornata. Appena ci vedono ci corrono incontro con gioia e spensieratezza, cantando per noi e con noi (anche in italiano!). Ho un nugolo di piccoli volti sorridenti attorno a me, con le divise sgargianti e le manine tese… Dopo aver ripetuto più volte “Ciao!”, “Come ti chiami?”, “Come stai?”, ho esaurito le poche parole che so in swahili (e a volte inutilmente, perché c’è chi parla solo il dialetto samburu). E in quel momento ci lasciamo andare ad un abbraccio silenzioso, ma pienamente emozionante.

Un’emozione è anche l’incontro con le ragazze della scuola superiore, che corrono a indossare il loro pareo sopra la divisa per mostrarci con orgoglio le danze tradizionali, e con le infermiere della scuola, che con il loro impegno sono un vanto per la missione …

Come riassumere in poche righe un’esperienza così intensa e coinvolgente? Posso solo cercare di darne un’idea, dicendo che ho visto la fusione dell’entusiasmo e dell’amore di chi opera con la spontaneità e l’affetto della gente: questo rende viva la realtà della missione, questo mi ha conquistato e mi ha lasciato un infinito desiderio di impegnarmi per essa e di tornare.

Anna Giacomin

 

 

 

Un bambino samburu nel suo villaggio

Un bambino samburu nel suo villaggio

 

Colazione all'asilo di Wamba

Colazione all'asilo di Wamba


 

Giovane donna samburu, in abiti tradizionali,

Giovane donna samburu, in abiti tradizionali,
agli ambulatori dell'ospedale

torna all'indice - Vita Nostra dicembre 2008 - anno 3 numero 4