NATALE: LO STUPORE DELLA FEDE

La festa di Natale è sempre stata la notte dello stupore. Oggi magari non è più così, perché crediamo di essere diventati adulti. Ma ricordiamoci di quando eravamo bambini, del nostro stupore davanti ai doni che Gesù Bambino aveva portato sotto l’albero.

Ricordo quando mio papà e mia mamma mi avevano fatto portare da Gesù Bambino un triciclo con dietro un contenitore ribaltabile: davanti a quel triciclo lo stupore mi aveva invaso, perché Gesù Bambino lo aveva toccato con le sue mani. Ricordo la gioia e l’esaltazione provate nel correre in giro, il mattino dopo, nel grande cortile, perché Gesù Bambino lo aveva portato a casa nostra.

Poco tempo dopo venni a sapere la verità su Gesù Bambino, ma senza nessun dramma interiore.

Il triciclo l’avevo già dimenticato, tanto che mia mamma lo aveva regalato a un mio cugino più piccolo.

L’idea di una presenza invisibile di Gesù però mi era rimasta. Era rimasta perché è vera, anche se Gesù non porta i doni, attraversando, nella notte di Natale, spazi e itinerari misteriosi.

La pedagogia cristiana ci ha educati in questo modo alla presenza di Gesù, individuando, nell’animo ingenuo del bambino e nella sua capacità di stupore, il punto più accogliente per deporre nel cuore il seme della fede nel mistero di Dio: quello della presenza vera, anche se invisibile di Gesù Cristo nel mondo e nella comunità dei credenti. “Dove due o tre di voi si riuniscono a pregare, io sono in mezzo a loro” (Mt. 18,20).

Credere che Gesù Cristo è nato, morto e risorto, significa credere che Cristo è vivo e che la sua Persona è presente invisibilmente nella nostra vita. Quale differenza corre tra il bambino che tocca i doni, perché crede che Gesù Bambino li abbia toccati prima di lui e l’adulto che crede alla presenza invisibile di Cristo negli itinerari e nel destino della sua vita? “Se non diventerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli” (Mt. 18,3).

Del resto anche il bambino di gesso esposto davanti all’altare, addobbato a festa per il Natale, ha solo carattere simbolico; eppure ci richiama alla presenza vera, anche se invisibile, di Cristo nella nostra vita.

Questa è la verità profonda comune a tutti i segni sacri: indirizzare il nostro sguardo verso una realtà che esiste oltre il velo delle apparenze.

La credenza che la notte di Natale Gesù visita tutti i bambini portando un regalo; la statua di Gesù Bambino in chiesa o nel presepio; Cristo sulla croce, l’iconografia del Cristo Risorto, di Cristo che percorre la Palestina compiendo miracoli, sono strumenti della pedagogia cristiana. Sono tutti elementi che ci educano a vivere nella fede che Cristo è vivo ed è presente nella nostra esistenza.

È una pedagogia che dobbiamo rispettare perché coglie nella nostra persona il bisogno primordiale di conoscere Dio e di vivere alla Sua presenza; ci introduce nello stesso tempo a credere nella presenza reale di Cristo (con il suo Corpo e il suo Sangue) nell’Eucaristia, cioè a quella forma di presenza che è la più ardua per la nostra fede, poiché supera ogni possibilità di immaginazione umana.

Quella di Gesù Bambino è perciò una tradizione che dobbiamo conservare o reintrodurre nelle nostre famiglie, se vogliamo che i nostri figli siano preparati a vivere, quando saranno adulti, la presenza di Cristo Risorto lungo tutto il cammino del loro destino umano. Senza aver creduto nella venuta di Gesù Bambino, è più difficile credere alla presenza sacramentale reale di Cristo, sotto le specie del pane e del vino. Infatti, se non fossimo educati allo stupore, non saremmo neppure capaci di credere.

Lo stupore umano, di cui i bambini sono capaci in modo eminente, è una delle condizioni della nostra fede. Lo stupore è fonte, a sua volta, di molte emozioni.

Il Natale è tempo di uno stupore che si rinnova; in qualche modo rappresenta sempre una nuova nascita anche per l’uomo, come eterna ricorrenza e, quindi, un “compleanno” della propria salvezza.

Il Natale non è una bella favola lontana, ma una realtà che continua a vivere e a dare ragione della nostra fede.

È da qui che scaturisce anche l’essenza più autentica della speranza, che non è un sentimento consolatorio per contrastare magari le difficoltà della vita, ma una certezza a cui proprio il Natale, per un dono della misericordia di Dio, ha dato un volto e un nome: la nostra speranza si chiama Cristo, Figlio unigenito, Signore della nostra vita e della nostra storia.

È Lui che continua a dare, anche oggi, la Parola alla sua Chiesa e quindi anche alla nostra comunità parrocchiale. A noi è dato di tenerla viva, di celebrarla all’altare e renderla operante nella vita e nella realtà di ogni giorno, a cominciare dalla prima e più importante comunità di riferimento che resta la famiglia.

Il Natale è nella sua essenza una grande celebrazione della famiglia, rappresentata al culmine della santità generata dalla nascita del Dio incarnato. La famiglia di Nazareth, “chiesa domestica” che plasticamente rivive nella tradizionale raffigurazione del  presepio, si ritrovò, in realtà, priva di un tetto e, quindi, di una casa; questa famiglia tuttavia è il fondamento, non solo in senso religioso, ma anche storico e sociale, di una realtà al cui interno si plasma il volto di un popolo (come ha affermato Benedetto XVI).

In ogni famiglia c’è il riflesso della società e del tempo che ognuno di noi vive: sappiamo bene che il nostro Paese attraversa un momento non facile, per la crisi non solo economica, ma morale e spirituale, visibile soprattutto nella mentalità e negli stili di vita delle famiglie e delle nuove generazioni. Anche la ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia ci impegna come cittadini e soprattutto come cristiani a “rilanciare la famiglia”. Non possiamo “lasciarci travolgere dalla rassegnazione”, ma vogliamo contribuire a “progettare e costruire il futuro”. Consideriamo la famiglia una straordinaria risorsa sia per il rinnovamento etico di cui ha bisogno il nostro Paese, sia per lo sviluppo di una società aperta e solidale. Tra i doveri e gli impegni c’è quello di favorire i genitori nella cura e nell’educazione dei figli.

A questo proposito la nostra comunità parrocchiale, assieme alle parrocchie del Vicariato e della Diocesi, è chiamata in questi anni a farsi carico del cammino di fede dei bambini e dei ragazzi, con il coinvolgimento attivo e indispensabile dei genitori. Sta iniziando un modo diverso di fare catechismo e di trasmettere la fede, rispetto al recente passato (se ne parla diffusamente in questo notiziario).

Non può inoltre mancare la nostra assistenza alle famiglie che vivono conflitti e gravi disagi.

Nelle nostre famiglie, inoltre, può abitare spesso anche la sofferenza, una realtà ineliminabile dalla nostra esistenza che tuttavia nella visione cristiana, e tanto più nella luce del Natale, non rappresenta una “condanna”. Tutt’altro: entrando nelle vostre case con questo mio scritto, quella del dolore e della sofferenza è la prima “stanza” nella quale vorrei soffermarmi.

La sofferenza ha un legame stretto, direi indissolubile, con l’amore. Chi è toccato dal dolore può a sua volta toccare la solidarietà e l’amore, i sentimenti di chi si fa vicino a chi soffre e lo assiste, prendendosi cura di lui. Chi soffre deve sapere di avere un posto privilegiato nel cuore di noi sacerdoti e di tutta la comunità parrocchiale. Si può soffrire di malattia, ma anche di solitudine, e per tanti altri motivi ...

Vorrei che questo Natale fosse, più di ogni altro, un Natale di condivisione e di amicizia.

BUON NATALE e SERENO 2012

nella grazia del Signore! Vi ringrazio nuovamente per tutti i gesti di fraternità, di servizio e di carità che accompagnano il cammino della nostra cara comunità parrocchiale.

 

Padre Roberto e sacerdoti collaboratori

 

Icona della Natività, opera del nostro parrocchiano iconografo Giorgio Benedetti
 

Madonna con Bambino (Giorgio Benedetti)
 

Annunciazione (Giorgio Benedetti)

 

torna all'indice - Vita Nostra dicembre 2011 - anno 6 numero 3