UN DONO PREZIOSO

Non so quanto tempo è trascorso da quando mi trovo qui: in questo luogo splendido non esiste il tempo, c’è solo tanta pace e serenità. Ci sono arrivato dopo una lunga vita nella quale ho vissuto momenti bui e tutto il mio essere si sentiva perso, affaticato, sconfitto… ma poi, la luce di Cristo l’ha illuminata di un senso “speciale” e mi ha portato a condividere la sofferenza, la speranza di molte persone: gli “ultimi” del mondo che mi circondava.

Qui non c’è più dolore nemmeno per quella piaga misteriosa al mio piede destro che per anni mi ha tormentato fisicamente e psicologicamente e ha frenato, di tanto in tanto, la mia cavalcata fantasiosa fra i potenti del mondo. Adesso so che anche quella rientrava in un disegno e ha segnato la mia salvezza.

Una voce mi sta parlando: “Camillo, oggi, per te, è un giorno speciale. Sono trascorsi 400 anni da quando ti sei addormentato nel Signore e vorremmo farti un regalo, tu che non hai mai chiesto niente e tanto ti sei speso per gli altri.

Nella città di Padova c’è una chiesa che ti è stata intitolata. I sacerdoti che vegliano su una comunità di circa 4.000 persone, a pochi passi dall’ospedale, portano sul petto la croce rossa che è stato il tuo emblema durante larga parte della tua vita terrena; la stessa croce spicca sul muro di cinta della chiesa.

Proprio in questi giorni la comunità è in festa per celebrare e ricordare il tuo nome, il tuo impegno e la tua eredità. Ci piacerebbe che tu, sotto mentite spoglie, ti recassi laggiù e ritornassi da noi con il cuore carico di sorprese e di gioia rinnovata.”

“Sono riconoscente e, al tempo stesso, piacevolmente stupito per questo dono “speciale”; ma come farò a inserirmi nella comunità?”

“Il tuo piede…ancora una volta ti verrà in soccorso! Proprio vicino alla chiesa, da 15 anni è sorta una casa di accoglienza che ospita i parenti degli ammalati e, in casi eccezionali, i malati stessi. Bussa e, spiegando che hai bisogno di cure specifiche per la tua piaga, troverai accoglienza”…

E’ strano trovarsi di fronte ad un edificio che porta il mio nome: “Casa di accoglienza S. Camillo de Lellis”. Suono e salgo le scale. Vengo accolto da un sorriso.

Nei giorni a seguire, durante la mia permanenza in questo luogo pulito e ordinato, ne incontrerò molti di sorrisi: quelli generosi dei volontari che, quotidianamente, prestano il loro servizio svolgendo le mansioni più disparate (c’è chi fa accoglienza, chi risponde al telefono, chi stira, chi riordina le stanze e gli spazi comuni) con la cura e l’attenzione che, normalmente, si dedica alla propria casa, senza lasciarsi scappare l’occasione di intrattenersi con le persone, scambiando con loro parole di affetto e, in molti casi, di conforto…

Quelli più mesti degli ospiti che, soprattutto la sera, al ritorno da lunghe giornate trascorse in ospedale, si ritrovano per cenare insieme e, proprio come si fa in una famiglia, si raccontano, condividono, si confortano vicendevolmente. Guardando loro, mi capiterà spesso di pensare alla mia esperienza in mezzo ai malati e ai loro familiari; a come la sofferenza è sempre uguale quando viene a toccare gli affetti: ieri come oggi, segna le persone nel profondo ma trova una luce di speranza nella condivisione e nell’amore manifesto.

Oggi è domenica. Affacciandomi alla finestra della mia cameretta vedo arrivare, alla spicciolata molte persone.

Per troppo tempo sono vissuto in mezzo agli “ultimi” per non accorgermi che, anche questi sono fratelli “deboli” e bisognosi. Decido di scendere per rendermi conto, da vicino, di quello che sta accadendo.

C’è un pranzo. Intorno ai tavoli preparati con cura sono seduti uomini e donne di diversi colori e di diversa età che gustano, con soddisfazione, cibi caldi ed appetitosi. Ci sono anche due bambini che trotterellano per il salone gioiosi ed un gruppo di volontari che servono e si fermano a parlare creando un clima di familiarità e di festa.

Scopro che questo è un rituale che si ripete, ormai da 4 anni, ogni prima domenica del mese e che ci sono ben 6 gruppi di volontari, per un totale di circa 90 persone, che si danno il turno per dar vita a questa iniziativa. Il servizio è molto diversificato: c’è chi fa accoglienza, chi cucina, chi serve ai tavoli, chi fa le pulizie ma la cosa bella che unisce tutte queste persone è lo spirito di servizio, la gioia di poter dare gratuitamente un po’ del loro tempo per chi non è molto abituato a riceverne. Scopro anche che tutta la comunità partecipa a questa iniziativa con una raccolta che copre le spese.

Non posso non pensare che questo, come i miei stanzoni affollati di malati e di fratelli bisognosi di cure e di sostentamento, è un luogo privilegiato dal Signore: in ogni volto mi raffiguro la sua immagine e sento viva la sua presenza che solleva e libera.

Ma le sorprese non sono finite! Dal cortile del patronato mi giungono alle orecchie grida e risate di bambini. Ci sono delle strane strutture colorate con scivoli altissimi dai quali scendono e si rincorrono ragazzini di tutte le età. Un mondo di divertimento allestito per la festa della comunità e diretto ai più piccini. Ci sono anche dei tavoli protetti da teloni che attirano la mia attenzione.

Qualcuno sta illustrando delle attività alquanto singolari: si parla di tele-adozione degli anziani e di assistenza ad alcuni di essi che risiedono in una casa di riposo che si trova vicino alla parrocchia; di visita agli ammalati in ospedale, di banco alimentare, di supporto a famiglie in difficoltà di varia natura… Sembra che, l’associazione che si occupa di tutte queste iniziative, si chiami : “Amici di S. Camillo”. In un altro tavolo ci sono fotografie e diari legati all’attività di un certo Padre Amelio che vive in un’isola delle Filippine. E’ un sacerdote missionario camilliano che fa anche il medico e si spende per aiutare le popolazioni bisognose, i bambini abbandonati, gli ammalati dei villaggi sperduti. Sento raccontare che, da questa parrocchia, partono con una certa regolarità containers con ogni genere di sussistenza (alimenti, vestiario ma anche medicine o apparecchiature per diagnosi) e che alcune famiglie hanno adottato a distanza piccole vite che sarebbero allo sbando. Mentre ascolto con interesse, mi si avvicina un uomo dall’aria gentile. E’ vestito in borghese,  ma sul risvolto della sua giacca, spicca una piccola croce rossa.

“Buon giorno, è nuovo di questa parrocchia? Non mi sembra di averla mai vista. Io sono Padre Roberto, il parroco di questa comunità.”
“Piacere di conoscerla. Io sono un ospite della vostra casa di accoglienza e sono qui, oggi, perché ho saputo che siete in festa. Sono rimasto piacevolmente stupito dalle tante iniziative caritatevoli della vostra comunità. E’ veramente un dono del Signore!”

“Non credo sia solo una questione di fortuna che nella nostra parrocchia ci siano tante persone sensibili verso il prossimo più bisognoso: il carisma di S. Camillo che è il nostro santo patrono, ci aiuta a vivere l’impegno concreto verso i fratelli più deboli e, con fede, gliene siamo riconoscenti!”

Ha mai visto la nostra chiesa? Venga, la accompagno.”

La chiesa di S. Camillo è una struttura a tenda, semplice, luminosa, ad ampio respiro. I miei occhi vengono immediatamente catturati dal grande mosaico che sovrasta l’altare: è un bellissimo Cristo Risorto! Tutto è raccontato nell’espressione del suo volto; un volto che porta ancora i segni delle sofferenze patite ma, al tempo stesso, è illuminato dalla luce della vita nuova ed eterna. Lo porterò nel mio cuore! Nella cappellina laterale c’è un altro bellissimo mosaico… un volto dolce di donna, quello di Maria, Madre di Gesù e Madre nostra: è la Madonna della Salute. Al lato opposto c’è un terzo mosaico: sono raffigurato … io!,  mentre accolgo amorevolmente fra le mie braccia un malato. “E’ strano!” mi dice Padre Roberto “Lo sa che il suo volto mi ricorda moltissimo quello di San Camillo nel mosaico?”. Sorrido, sforzandomi di non dare a vedere la grande emozione che, in questo momento, mi sta riempiendo il cuore.

“In fondo alla chiesa” continua Padre Roberto “al tavolo dei giornali, se vuole c’è una rivista che si chiama Missione Salute, che racconta come nel mondo i camilliani si sforzano di vivere gli insegnamenti del loro fondatore. Noi, come comunità, anche quest’anno abbiamo dato un contributo a una casa di accoglienza camilliana in America Latina, per pagarne l’affitto”. Ci salutiamo cordialmente. Non posso fare a meno di fermarmi ancora un istante davanti al Cristo Risorto per una preghiera e un ringraziamento:

Signore, quanto è misericordioso il tuo cuore che, costantemente, fai battere nel petto di così tante persone e le rendi capaci di diventare strumenti del tuo amore!

Mi sento pieno di riconoscenza e mi rendo conto che alcuni dei semi che, come tuo umile servo, mi hai concesso di seminare su questa terra, sono diventati piante dai bellissimi fiori e dal profumo soave che rendono più bello, più umano e più buono il mondo.

E’ questo che porterò con me alla fine di questo viaggio e lo conserverò nel mio cuore come un dono prezioso e insostituibile. GRAZIE!

Ora è giunto per me il momento di ritornare ...

 

Anna Scarso Feltini
 

 

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