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L’Osservatorio Caritas delle Povertà e delle Risorse della Diocesi di Padova, composto da don Luca Facco, Daniela Crivellaro, Marino Garbari, Francesco Jori, Anna Lambini, Daniele Salmaso, in collaborazione con l’Associazione Adam Onlus, ha elaborato un documento di cui in questo speciale presentiamo un ampio estratto.

Il documento completo è reperibile sul sito www.caritaspadova.it.

Molti sono i sentimenti che si provano e si vivono in questo tempo di fronte al tema dell’accoglienza dei profughi. In particolare emerge un profondo senso di disorientamento di fronte a qualcosa di molto complesso, che ha molte sfaccettature e implicazioni. Il tema dei profughi riguarda questioni internazionali, l’Europa, il nostro Paese e le nostre città. Ci si sente schiacciati contemporaneamente da un senso di impotenza – non si sa che cosa fare e da dove partire – e dalla necessità di non restare indifferenti e inermi di fronte a queste tragedie.

Questo strumento di Caritas Padova vuole essere un contributo per tenere viva la riflessione e l’informazione.

Cosa sta succedendo nel mondo attorno e vicino a noi? Chi sono i richiedenti asilo? Quanti sono? Che cosa può fare una comunità cristiana? Che cosa ci stanno insegnando le esperienze di accoglienza finora realizzate? Quali sono gli aspetti positivi e quali le criticità?

Questo report monografico, curato dall’Osservatorio delle povertà e delle risorse di Caritas Padova, viene proposto come occasione di riflessione all’interno delle comunità cristiane e dei gruppi parrocchiali.

Altro materiale di approfondimento è disponibile sul sito della Caritas www.caritaspadova.it e sulle pagine dedicate ai temi dell’immigrazione all’interno del settimanale diocesano La Difesa del popolo. Speriamo che possa contribuire ad aiutare ciascuno di noi a desiderare di fare qualcosa di concreto.

Non ci viene chiesto di fare miracoli, ma di essere consapevoli che ognuno di noi può fare qualcosa a partire dalla preghiera per arrivare a forme concrete di accoglienza possibile e sostenibile. Siamo consapevoli che un piccolo gesto concreto di accoglienza parla e comunica più di tanti discorsi e parole. Anche questa esperienza sia vissuta come un’opportunità che il Signore ci offre per continuare a restare umani e diventare sempre più cristiani, radicati e fondati sul Vangelo.

don Luca Facco, direttore Caritas Padova

Bambina siriana gioca col pallone nel campo profughi di Zahle, Bekaa valley, in Libano.

© Caritas Internationalis/Matthieu Alexandre

 

 


Le economie dei tre Paesi con maggior presenza di profughi (Libano, Giordania e Turchia) hanno mantenuto tassi di crescita consistenti. Quest’anno la Banca Mondiale stima una crescita reale del Pil libanese del 2,5% – il più alto dal 2010 – in seguito a un aumento della domanda per servizi prodotti localmente in funzione dei profughi. La domanda è finanziata da risparmi propri, reddito da lavoro, rimesse dall’estero e aiuti internazionali (i soli 800 milioni di dollari in aiuti umanitari che l’Onu dà annualmente al Libano per i rifugiati siriani contribuiscono per l’1,3% del Pil del Paese).

La presenza dei profughi ha ricadute positive sul mercato del lavoro. I profughi siriani in Turchia hanno rimpiazzato parte della manodopera locale, specie tra lavoratori informali e part-time, spostando molti lavoratori turchi nel settore formale, con un aumento del salario medio. In Giordania i profughi siriani hanno aumentato l’offerta di lavoro in settori intensivi in manodopera non qualificata con bassa presenza di lavoratori giordani.

Una delle obiezioni principali è che per garantire un livello adeguato di servizi ai profughi occorra una spesa insostenibile per il Paese ospitante. L’esperienza turca dice il contrario: la Turchia fornisce ai profughi registrati l’accesso gratuito a servizi di istruzione e sanitari, e gestisce campi-profughi con tutti i servizi di base: per queste voci ha speso finora 5,4 miliardi di euro, interamente finanziati dalle proprie entrate fiscali, senza fiscalità aggiuntiva. L’economia complessiva dei Paesi Ue è 23 volte superiore a quella turca.

Nei Paesi industrializzati il 15 per cento dei posti di lavoro nei settori ad alto sviluppo è occupato da un immigrato: c’è un immigrato ogni 6-7 lavoratori. Nei settori in declino, ce n’è uno ogni 4. In altre parole, gli immigrati tendono a occupare i posti di lavoro tendenzialmente rifiutati da chi è nato nei Paesi occidentali. In ogni caso, su quei lavori gli immigrati pagano le tasse.

Nei Paesi industrializzati in media gli immigrati assorbono il 2 per cento dei fondi per l’assistenza sociale, l’1,3 per cento dei sussidi di disoccupazione, lo 0,8 per cento delle pensioni.

In Italia gli immigrati hanno pagato nel 2014 6,8 miliardi di Irpef, su redditi dichiarati per 45 miliardi. Il rapporto costi-benefici è largamente positivo: le tasse pagate dagli stranieri, tra fisco e contributi previdenziali, superano i benefici che essi ricevono dal welfare nazionale (sanità, scuola, servizi sociali, casa, giustizia, sicurezza) per quasi 4 miliardi.

La ricchezza prodotta dagli occupati stranieri in Italia si aggira sui 123 miliardi, pari all’8,8% del Pil. I lavoratori immigrati versano il 5 per cento dei contributi previdenziali complessivi, pari a circa 10 miliardi.

Rifugiati Maliani a Tilliberi, in Niger: i responsabili della Caritas Nigeriana si occupano della distribuzione dei sacchi di carbone ai rifugiati. © Caritas Internationalis/Simone Stefanelli


Gli arrivi in Europa attraverso il Mediterraneo, nei primi sei mesi del 2015, sono stati 366.402, saliti al 18 ottobre a 615.895 (ultimo dato disponibile), in netta maggioranza sbarcati in Grecia (475.499). I morti o dispersi in mare sono stati 3.105.

Alla fine di agosto 2015, i Paesi aderenti all’Unione Europea avevano ricevuto 417.430 domande di asilo; in totale, dal 2012 si arriva a 1,8 milioni di richieste. Nello stesso periodo in Libano si sono registrati 1,1 milioni di profughi (un quarto della popolazione del Paese).

Per l’Italia un flusso simile in rapporto alla popolazione equivarrebbe a 15 milioni di profughi, e anche se il nostro Paese ne accettasse solo il 2,5% dovrebbe accoglierne 1 milione e mezzo: come accade per la Turchia, che ospita il 2,6% di profughi sulla popolazione, per un totale di 1,7 milioni.

Rapporto profughi per mille abitanti: Libano 257, Giordania 114, Turchia 11, media Paesi Ue 1,2. Tutti assieme i Paesi in via di sviluppo accolgono l’86% dei profughi, i Paesi occidentali il 14%.

Dal 2011 a oggi, la Germania ha ricevuto 547mila richieste di asilo, la Francia 255mila, la Svezia 228mila, l’Italia 155mila. In Svezia ci sono 2.359 richieste di asilo ogni 100mila abitanti, in Germania 676, in Francia 386, in Italia 254.

Il rapporto demografico tra over 65 e under 65 segnala un’Europa che invecchia rapidamente: in Italia nel 2013 era pari a 32,8, nel 2060 diventerà 53; in Germania le cifre sono rispettivamente 31,8 e 59,2; in Gran Bretagna 26,6 e 42,8; in Spagna 26,8 e 53,2; in Francia 32,8 e 53. L’Europa, se vorrà mantenere gli attuali standard di vita e lo stesso sistema pensionistico, avrà bisogno di 42 milioni di nuovi europei entro il 2020, di 250 milioni entro il 2060. Le sole nascite nei singoli Paesi non garantiranno il saldo demografico.

Oggi, mediamente, in Europa ci sono quattro persone in età lavorativa (15-64 anni) per ogni pensionato; nel 2050 ce ne saranno solo due. In Germania ci saranno 24 milioni di pensionati contro 41 milioni di adulti; in Italia 20 milioni di pensionati contro 38 milioni di persone in età lavorativa.

 


Le economie dei tre Paesi con maggior presenza di profughi (Libano, Giordania e Turchia) hanno mantenuto tassi di crescita consistenti. Quest’anno la Banca Mondiale stima una crescita reale del Pil libanese del 2,5% – il più alto dal 2010 – in seguito a un aumento della domanda per servizi prodotti localmente in funzione dei profughi. La domanda è finanziata da risparmi propri, reddito da lavoro, rimesse dall’estero e aiuti internazionali (i soli 800 milioni di dollari in aiuti umanitari che l’Onu dà annualmente al Libano per i rifugiati siriani contribuiscono per l’1,3% del Pil del Paese).

La presenza dei profughi ha ricadute positive sul mercato del lavoro. I profughi siriani in Turchia hanno rimpiazzato parte della manodopera locale, specie tra lavoratori informali e part-time, spostando molti lavoratori turchi nel settore formale, con un aumento del salario medio. In Giordania i profughi siriani hanno aumentato l’offerta di lavoro in settori intensivi in manodopera non qualificata con bassa presenza di lavoratori giordani.

Una delle obiezioni principali è che per garantire un livello adeguato di servizi ai profughi occorra una spesa insostenibile per il Paese ospitante. L’esperienza turca dice il contrario: la Turchia fornisce ai profughi registrati l’accesso gratuito a servizi di istruzione e sanitari, e gestisce campi-profughi con tutti i servizi di base: per queste voci ha speso finora 5,4 miliardi di euro, interamente finanziati dalle proprie entrate fiscali, senza fiscalità aggiuntiva. L’economia complessiva dei Paesi Ue è 23 volte superiore a quella turca.

 

Migranti impiegati in attività agricole a Caritas Palermo.
© Caritas Internationalis/Franco Lannino
 


 

Nei Paesi industrializzati il 15 per cento dei posti di lavoro nei settori ad alto sviluppo è occupato da un immigrato: c’è un immigrato ogni 6-7 lavoratori. Nei settori in declino, ce n’è uno ogni 4. In altre parole, gli immigrati tendono a occupare i posti di lavoro tendenzialmente rifiutati da chi è nato nei Paesi occidentali. In ogni caso, su quei lavori gli immigrati pagano le tasse.

Nei Paesi industrializzati in media gli immigrati assorbono il 2 per cento dei fondi per l’assistenza sociale, l’1,3 per cento dei sussidi di disoccupazione, lo 0,8 per cento delle pensioni.

In Italia gli immigrati hanno pagato nel 2014 6,8 miliardi di Irpef, su redditi dichiarati per 45 miliardi. Il rapporto costi-benefici è largamente positivo: le tasse pagate dagli stranieri, tra fisco e contributi previdenziali, superano i benefici che essi ricevono dal welfare nazionale (sanità, scuola, servizi sociali, casa, giustizia, sicurezza) per quasi 4 miliardi.

La ricchezza prodotta dagli occupati stranieri in Italia si aggira sui 123 miliardi, pari all’8,8% del Pil. I lavoratori immigrati versano il 5 per cento dei contributi previdenziali complessivi, pari a circa 10 miliardi.


Casella di testo: La situazione generale.  LA SITUAZIONE ITALIANA

Il nostro sistema di accoglienza ospita attualmente 93.698 profughi (dati ad ottobre), distribuiti tra 14 centri di accoglienza, cinque centri di identificazione ed espulsione, 1.861 strutture temporanee 430 progetti SPRAR (Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati). Di questi, 64.435 vengono da Paesi in situazioni di guerra: Eritrea, Sudan, Somalia, Nigeria, Siria. Molti di loro sono in Italia solo di passaggio, diretti principalmente in Germania e Svezia.

La regione con la più alta quota di profughi è la Sicilia (16%); seguono la Lombardia con il 13, il Lazio con il 9, la Campania con l’8, il Piemonte e il Veneto con il 7.

 Nel 2014 la spesa per l’accoglienza è stata di 628 milioni di euro, nel 2015 se ne prevedono 800. La Commissione Europea ha stanziato 2,4 miliardi per i rifugiati per i prossimi sei anni; la quota più consistente (560 milioni) è destinata all’Italia.

Per l’assistenza ai profughi, le organizzazioni che si occupano dell’accoglienza ricevono una cifra di 35 euro al giorno a persona, per garantire vitto, alloggio, consulenza legale e sociale, spese sanitarie ecc. Di questi 35 euro, l’organizzazione consegna a ogni singolo profugo 2,5 euro, con un tetto di 7,5 per nucleo familiare. In ogni caso si tratta di soldi spesi e reimpiegati in Italia, in via diretta (consumi) e indiretta (posti di lavoro nelle organizzazioni).

I richiedenti asilo non possono lavorare nei primi sei mesi di ingresso in Italia, in attesa della definizione del loro status giuridico e del fatto che dispongono di un diritto di soggiorno provvisorio. Nel frattempo lo Stato deve garantire loro condizioni di vita dignitose, anche per non violare la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Il costo dell’accoglienza dei profughi non è a carico dei Comuni, ma del Ministero.

Immagine dai campi dei profughi cristiani a Erbil in Iraq.
© Caritas Italiana
 

 


Casella di testo: TESTIMONIANZE, I MURI, DICHIARAZIONI

Nel documento si trovano diverse testimonianze: la Storia di Halima, la Storia di Naar, la Storia di Houda.

Si parla di muri: Papa Bergoglio ci dice di costruire ponti, non muri; tutti i muri nella storia sono crollati (alcuni dei grandi muri crollati: Vallo di Adriano, Grande Muraglia cinese, Vallo Atlantico, Cortina di ferro e altri).

Si riportano dichiarazioni di santi, della Bibbia, di politici, studiosi, scienziati.

Vi invitiamo a leggere queste parti nel documento integrale sul sito www.caritaspadova.it


Quanti sono esattamente gli immigrati presenti in questo momento tra Padova e provincia? E in modo specifico i richiedenti asilo? La situazione è in continua evoluzione: varia a seconda della congiuntura internazionale, dell’evolversi della situazione nei Paesi di provenienza, delle condizioni climatiche, di una serie di contingenze specifiche.

Per quanto riguarda il Padovano, secondo i dati forniti dalla Prefettura, integrati con valutazioni di chi opera sul campo, si può stimare che attualmente (ottobre 2015) le presenze siano 1.300 tra città e provincia (circa uno ogni mille abitanti); ma nell’accordo Stato-Regioni-Comuni a Padova (città e provincia) sono stati assegnati 1500 richiedenti asilo.

La loro gestione non è comunque semplice; ma di qui a parlare di invasione, a fronte di un simile rapporto, decisamente ce ne corre.

Per meglio valutare i problemi posti dall’accoglienza ai profughi, si è ritenuto di integrare il Report con tre focus nel territorio, in altrettante situazioni concrete: Cartura, Este, Legnaro. Non c’è chiaramente alcuna pretesa di ricavare da questi incontri un quadro organico e statisticamente significativo, che possa dar conto del quadro complessivo della diocesi. Ma dai colloqui, con gli operatori e con gli ospiti, sono emersi alcuni elementi concreti,  che verosimilmente riflettono alcuni dei principali punti critici comuni a tutte le realtà coinvolte dal fenomeno.

Potete trovare nel documento integrale, sviluppati,  i seguenti temi:

· il viaggio

· la lingua

· la cultura

· le aspettative

· il contesto

· l’adattamento

· alcuni spunti di riflessione


In linea generale, si deve tener conto che ci si trova di fronte a un problema epocale, non certo ridotto alla sola Italia, destinato a durare ancora a lungo; probabilmente ad aggravarsi, considerando l’esasperarsi delle situazioni di conflitto in vari Paesi, le prossime guerre per l’acqua ancor più devastanti, la divaricazione dell’andamento demografico tra nord e sud del mondo, l’accentuarsi della povertà. Tutte condizioni che innescano forti flussi migratori, ai quali nessun Paese al mondo è riuscito e riuscirà a opporre barriere efficaci. Il mondo occidentale non può inoltre ignorare di avere al riguardo precise responsabilità, per il sistematico sfruttamento di persone e di risorse dei Paesi poveri, durato per secoli; e per le scelte politiche che dal Novecento in poi hanno privilegiato l’appoggio a dittature e regimi di sfruttamento, in funzione degli interessi economici.

L’alternativa d’altra parte è secca: o riusciamo a gestire il fenomeno o siamo destinati a subirlo. Per gestirlo occorrono alcune “istruzioni per l’uso”, a partire dalla necessità di sottrarsi alla sterile contrapposizione tra accoglienza e rifiuto: per accogliere bisogna creare le condizioni, che contemplano anche l’esigenza di capire le motivazioni del rifiuto. Le paure e le diffidenze di fronte a un fenomeno complesso come la convivenza con e tra diversità vanno accettate e affrontate: in molti casi si tratta più che altro di un  problema di scarsa o cattiva informazione. Si tratta comunque di cogliere le diverse sensibilità, senza alcuna pretesa di impartire lezioni: un processo che non può che essere lento e graduale, altrimenti il rischio concreto è quello di alimentare un ulteriore irrigidimento.

Sono considerazioni che valgono a maggior ragione per le comunità cristiane, attraversate in pieno dalla diversità di atteggiamenti: appare opportuno avviare un sistematico lavoro di formazione che passi attraverso i consigli pastorali parrocchiali e le strutture associative, per offrire loro gli strumenti con cui porsi poi in relazione con le rispettive comunità.

Il progetto è reso oggettivamente complesso da un clima generale cui concorre in larga misura la narrazione dei media, molto centrata sull’emotività e sulla superficialità, puntando a privilegiare gli aspetti critici. Va anche chiarito, peraltro, che spesso i mass media riportano di fatto dichiarazioni di politici e di altri soggetti che danno del fenomeno profughi una lettura strumentale.

La realtà suggerisce che, in molte situazioni locali, l’accoglienza dei singoli e delle comunità è di gran lunga diversa rispetto alle rigidità di taluni livelli istituzionali e dei cedimenti a un populismo di comodo di taluni amministratori. A tale riguardo si può citare l’affermazione di una delle volontarie sentite durante i focus nel territorio: «Ci sono persone che alimentano in modo indistinto il calderone, ma anche persone che non mi aspettavo e che hanno espresso ed esprimono attenzione e accettazione. Bisogna sdrammatizzare rispetto a quanto si legge e si ascolta attraverso i media. Ricordando che tutti i ragazzi del mondo sono uguali e che molti dei nostri ragazzi italiani sono viziati e pretendono sempre di più. La verità è che l’uomo, chiunque sia, non ha colore».

 

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